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SEZIONI AUREE

di Mattia Bosco, a cura di Elena dal Molin.

Da una collaborazione tra l’azienda Tosco Marmi

e la Galleria Atipografia (Arzignano, VI)

in collaborazione con Marmomac

 

 

In occasione di Marmomac e ArtVerona, l’artista Mattia Bosco presenta due sculture in Piazzetta Navona a Verona. Per Bosco questa esposizione ha un significato speciale: non solo un momento per mostrare opere finite, ma l’occasione per raccontare il lungo percorso che ogni scultura compie prima di arrivare in uno spazio espositivo, un percorso che ha origine nelle cave di marmo.

 

Bosco non sceglie blocchi perfetti, ma pietre di scarto, i cosiddetti “detriti speciali” del lavoro estrattivo. «Nelle montagne di scarti trovo il materiale che mi interessa: pietre considerate informi ma per me piene di forma, già quasi sculture», spiega l’artista. È in questo “quasi” che si colloca il suo lavoro, nello spazio sottile che separa la pietra anonima dalla scultura.

La scelta della pietra stessa segna un passaggio cruciale. «Quando chiedo a un ruspista di sollevare un blocco dal mucchio, la benna della ruspa diventa improvvisamente delicata. Quello che era un frammento qualsiasi diventa qualcosa che non può più rompersi, perché porta in sé una promessa», racconta Bosco. Questo cambio di prospettiva, che trasforma lo scarto in materia preziosa, rivela per l’artista la natura dell’arte: non tanto un “cos’è”, quanto un “cosa può fare”.

Le opere presentate a Verona appartengono alla serie Sezione Aurea, un ciclo che Bosco porta avanti da anni. «Non impongo una forma – precisa – ma illumino le nervature e le tensioni che abitano la materia. L’oro è l’accento che intensifica la visione: una luce che non aggiunge, ma rivela. Gran parte della pietra rimane intatta: il mio gesto vuole esaltare, non cancellare».

Per l’artista, scolpire non è un atto di dominio ma di collaborazione: la pietra ha una sua voce, una sua memoria, una sua lingua. Il suo lavoro nasce da un dialogo con ciò che precede l’uomo e lo oltrepassa, da un tempo che non è ancora storia ma che custodisce potenzialità invisibili, pronte a farsi visibili attraverso l’arte.

Bosco sottolinea inoltre il legame profondo con le cave e con chi vi lavora: «Il mio lavoro deve moltissimo a questo rapporto originario. Ringrazio i miei amici Massimo e Marcello Peretti, Mauro D’Aloisio e il gruppo Tosco Marmi, che da oltre dieci anni mi sostengono e mi permettono di accedere alle cave e agli spazi attrezzati senza i quali tutto questo non sarebbe possibile».